CANTAUTORE E POETA, ARTISTA CHE HA INTERPRETATO 40 ANNI DELLA NOSTRA STORIA, CLAUDIO LOLLI RIFUGGE QUESTE DEFINIZIONI CON L’UMILTÀ DI CHI SA CHE LA STRADA DA PERCORRERE È ANCORA LUNGA E CHE CON IMMUTATA PASSIONE, DOPO 40 ANNI DI CARRIERA, CONTINUA A CALCARE LE SCENE DI TEATRI, PIAZZE E AUDITORIUM PER PORTARE LA SUA MUSICA SEMPRE IN PRIMA LINEA. CON LUI ABBIAMO AVUTO IL
PIACERE DI QUESTA INTERVISTA TELEFONICA.

 

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Trento, Roma, Bologna: cosa vuol dire tornare in tournée oggi per te?

Intanto vorrei saperlo anche io. Comunque non è proprio una tournée, ci stanno chiamando spesso e l’altra piccola precisazione è che io non ho mai smesso. Forse queste date sono state un po’ più pubblicizzate, ma concerti ne ho sempre fatti, alcuni anni di più, alcuni anni di meno, non ho praticamente smesso mai se non nei passati anni ‘80.

Quindi sempre in giro, sempre attivo…
Sì abbastanza, nei limiti che l’oggi consente ad uno come me, però sì, una trentina l’anno li faccio sempre.

Cantautore e poeta, conosci il valore delle parola…
Non esageriamo.

Dove un tempo il soggetto politico era la collettività, oggi si parla di “gente”. Secondo te cosa indica questo cambiamento lessicale?

Se posso permettermi “gente”, come “popolo”, è una parola che mi piace non troppo. Nel senso che è molto molto indistinta e si presta a qualunque utilizzo da parte di chiunque, mentre “collettività”, come mi pare che intendessi tu, ha una sua connotazione molto più precisa. Parlare di “gente”, parlare di “popolo”, vuol dire parlare di nulla insomma. La differenza mi sembra evidente e anche la causa di questa differenza. Le collettività in questo senso mi pare che esistano sempre meno e c’è tutto un rimescolamento abbastanza confuso di persone che si chiamano “gente”.

La canzone “Borghesia” nel 2000 dal vivo si trasformò. Tra “Il vento” e “Ti spazzerà via” aggiungesti la parola “forse”?

Sì, ci abbiamo messo un “forse” (ride).
Questo indica che quelle gioiose e furenti certezze degli anni ‘70 sono svanite?

Sì, direi di sì. Io la rappresento in modo molto ironico, la facciamo quasi sempre come bis, ultimo pezzo, perché insomma fa anche ridere. L’ho scritta quando avevo 17 anni e la conclusione era questa: “Un giorno il vento ti spazzerà via”. Ero convinto, ingenuamente convinto nel mio apprendistato politico e filosofico, che sarebbe stato inevitabile un cambiamento. Adesso naturalmente non lo sono più, quindi devo dirlo ai miei poveri spettatori.
Ma questa borghesia… se poi è sempre la stessa di allora…


Posso dire una cosa? Secondo me è pure peggio… Mi ricordo uno slogan “Agnelli e Pirelli, ladri gemelli.” Erano grandi famiglie, grandi borghesi anche abbastanza colti. Quelli che ci sono oggi francamente non mi sembrano dello stesso livello, mi sembrano molto, molto più piccolini, da tutti i punti di vista.

Chi o cosa avrebbe il potere oggi di spazzare via questa borghesia?
Una domanda di riserva?

Non la ho purtroppo, è quello che vorrei sapere anche io.
Non ho la risposta. Non lo so. A parte gli scherzi, è molto, molto difficile capire che direzione sta prendendo la società italiana, non mi sembra nemmeno che ci siano dei movimenti antagonisti credibili, ma ti dirò di più, nemmeno riformisti quasi credibili. Mi trovi veramente impreparato…
Nel 1976 “Ho visto anche gli zingari felici” decolla anche grazie al suo circolare nelle radio libere. Il potere allora per un magico istante fu davvero nelle mani della collettività. Senti di essere un figlio di quel particolare momento storico e politico? O come artista lo hai solo attraversato?

Guarda, un po’ tutt’e due. Adesso tu mi fai troppi complimenti, poeta, artista, son parole grosse. Un artista, se ha la sua voce, va avanti comunque, però certamente quei momenti collettivi seri ed importanti mi hanno aiutato molto e mi hanno, in un certo senso, portato alla luce con maggior facilità, ecco, hanno reso il parto più semplice. Allora si chiamavano Radio Libere, oggi si chiamano Radio Private, effettivamente c’è una bella differenza.

Dal 2010 hai preso parte a diverse attività antimafia. In cosa si concretizza secondo te la battaglia per togliere il potere alla mafia?

Anche qui non sono assolutamente preparato. La mafia è una specie di Stato nello Stato, di controstato quindi una volta che ci fosse eventualmente uno Stato serio, che funziona, credibile, vicino ai cittadini, penso che le potenzialità di questi controStati sarebbero molto minori. Questo è un parere da cittadino, che magari qualche esperto potrà trovare ridicolo.

 

Il tuo ultimo album, Lovesongs, del 2009, è una raccolta di sole canzoni d’amore. Come mai questa scelta? Ha ancora senso la canzone politica oggi o la consapevolezza sociale passa per altre vie?
Mi sembri abbastanza acuta. Sì, l’amore è un’esperienza profonda, un’esperienza vera e può avere un valore eversivo oggi, come tutte le esperienze vere in questo mondo, in questa società un po’ finta. Più tecnicamente, avevo l’impressione che nella mia lunga, ormai lunghissima, forse troppo lunga, carriera ci fossero state delle canzoni d’amore però passate un po’ inosservate di fronte a quelle che hanno avuto maggior ascolto, maggior evidenza, proprio forse perché erano più immediatamente politiche. Ho pensato che fosse giusto rivalutarle, riabilitarle, con arrangiamenti molto diversi, però riprenderle.

 

Cosa può fare la musica per cambiare gli equilibri di potere?

Ci può provare. La musica, nel momento in cui si pone il problema e l’obiettivo di modificare un po’ la percezione dell’esistente negli ascoltatori, in qualche misura contribuisce ad una piccola, lenta, minuscola modificazione culturale che ha ovviamente una valenza politica. Poi che cosa possa fare così nell’immediato, con un risultato immediato, questo è un’altra cosa. Una canzone non è un decreto legge.

 

Hai lavorato nelle scuole per molti anni a contatto con i ragazzi e in un’intervista hai detto che non ti permetti di educarli ad “andare contro”. Cosa bisognerebbe insegnare ai ragazzi oggi? E soprattutto in che modo?
Intendevo dire questo, cito così a memoria, quindi sicuramente sbagliata, una poesia di Erich Fried: “Chi dice ai suoi studenti di essere di destra è di destra. Chi insegna ai suoi studenti ad essere di sinistra è di destra, chi dice solamente quello che è, e che forse potrebbe anche eventualmente sba- gliare, potrebbe anche darsi che sia di sinistra.